Bella ma non balla.
House of The Dragon Stagione 2, del resto come la prima è bellissima visivamente, fotografia, regia e scenografie sono incredibilmente azzeccate e ben realizzate, ma insieme alle musiche e alla recitazione forse sono gli unici elementi veramente convincenti dell'ultima fatica di HBO.
LA TRAMA
La serie riprende a narrare gli eventi subito dopo la morte di Lucerys Velaryon, secondo genito di Rhaenyra, ci viene mostrata la difficoltosa accettazione del lutto da parte della regina e soprattutto mostra le prime fasi della guerra. Ossia l'escalation che segue al terribile omicidio del principino. Tuttavia tutto ciò viene reso decisamente male, e adesso analizzeremo il perchè.
NARRAZIONE, SCENEGGIATURA E PERSONAGGI
La narrazione della stagione appare deliberatamente polarizzata: gli showrunner orientano lo spettatore a parteggiare per Rhaenyra e i Neri, presentando la regina sotto una luce prevalentemente positiva. Attraverso scelte di regia e montaggio, si enfatizza la sua fragilità e si attenuano le ambiguità morali che nel romanzo la rendono complessa. Parallelamente, la serie smantella quasi del tutto l’empatia verso i Verdi, in netto contrasto con Sangue e Fuoco, dove entrambe le fazioni sono descritte con motivazioni solide e comprensibili. Questa semplificazione riduce la ricchezza del conflitto, che nel libro si nutre proprio della complessità e della legittimità delle ragioni di tutti i contendenti. La polarizzazione si manifesta a più livelli: dal make-up che rende Aegon visivamente meno attraente (forzando una lettura da “villain”) al trattamento sottotono di draghi come Sole di Fuoco, privati della magnificenza che la saga letteraria attribuisce loro.
Il ritmo della stagione è estremamente altalenante. Fin dall’inizio, gli showrunner scelgono di concentrarsi sui ripensamenti e sulle esitazioni di Rhaenyra, ritratta come una paladina del regno determinata a evitare lo scontro aperto e a non liberare i draghi. Questa impostazione si trascina anche dopo il primo scontro della guerra civile, a Rifugio del Corvo.
Nel tentativo di preservare gli eventi chiave della Danza, la serie introduce un inedito conflitto familiare tra Rhaenyra e il marito-zio Daemon. Qui la regina, pur consapevole di aver bisogno del suo sostegno, viene mostrata come intenzionata a rivendicare il trono senza dipendere da lui. È una scelta che si discosta radicalmente da Sangue e Fuoco, dove i due restano uniti e agiscono come alleati fino alla fine, e che trasforma il loro legame in un espediente per sottolineare un’idea di emancipazione assente nel materiale originale. Allo stesso tempo, però, questa modifica aggiunge complessità al personaggio di Daemon, mettendo in luce il suo conflitto interiore e il difficile equilibrio tra ambizione personale e lealtà — un aspetto che riprenderò più avanti.
Il tentativo di allungare il brodo non si ferma qui, non entrerò nel dettaglio per evitare spoiler, ma mi limiterò a dire che vengono aggiunte delle plotline per Daemon e Tyland Lannister totalmente inutili e dimenticabili.
È giunto il momento di parlare dei problemi di scrittura di questa stagione (anche se alcuni derivano proprio dalla prima). Come già accennato, Rhaenyra è stata totalmente stravolta rispetto a Sangue e Fuoco: da figura impetuosa e istintiva diventa una sovrana esitante, riflessiva, quasi paralizzata dal timore delle conseguenze. Una scelta che non solo altera la percezione del personaggio, ma finisce anche per rallentare il ritmo e togliere mordente alla trama.
Anche Alicent subisce uno stravolgimento radicale: ridotta a una caricatura priva di mordente, agisce quasi esclusivamente in funzione di un elemento introdotto nella stagione precedente — il messaggio di Aegon il Conquistatore — mentre nel romanzo le sue azioni sono motivate da un rancore profondo verso Rhaenyra e dal timore che la rivale possa sterminare la sua discendenza. Nella serie, invece, arriva persino a compiere scelte apertamente contrarie agli interessi della propria fazione, senza una logica narrativa convincente che la porteranno ad autoescludersi di fatto dalla lotta che lei stessa ha contribuito a innescare. Questa rappresentazione non solo indebolisce il personaggio, ma priva la storia di una delle sue figure più complesse e strategicamente rilevanti.
Daemon invece per quanto modificato dalla controparte letteraria, è quasi convincente, ci viene mostrato il suo contrasto interiore, tra ambizione personale e lealtà.
I personaggi secondari spesso restano sullo sfondo, con poco spazio per emergere o incidere realmente sulla storia, rendendo la guerra civile più piatta e meno complessa di quanto potrebbe essere.
Ovviamente, ci tengo a precisare, che un adattamento non deve essere una copia carbone dell'opera originale, ma creare delle vere proprie caricature dei personaggi la trovo una scelta insensata. Perchè sebbene sia totalmente lecito modificare, si presuppone che lo si voglia fare in meglio, e le recenti critiche sulla sceneggiatura, provenienti direttamente da Martin esemplificano ciò.
ASPETTI TECNICI, MUSICA E RECITAZIONE
Detto ciò è decisamente giunto il momento di concentrarsi sugli aspetti positivi della serie:
Come sempre le musiche di Ramin Djawadi sono incredibilmente riuscite e incalzanti, pur ruotando sempre attorno ai temi di Game of Thrones, da cui riprende sia le sonorità che veri e propri brani, come l'iconico tema principale.
Fotografia e regia sono decisamente buone, con movimenti di macchina sempre azzeccati, una buona chiarezza in quelle poche, pochissime scene d'azione, e immagini talvolta in grado di lasciarci quasi senza parole.
La cgi è ottima, i draghi sono convincenti e ben realizzati e anche il sonoro si lascia apprezzare, soprattutto con il mix atmos delle versione in lingua originale. Anche se la traccia italiana 5.1 si difende egregiamente.
Emma D’Arcy si conferma un’ottima attrice, anche se la scrittura tende a rendere il suo personaggio più drammatico e vulnerabile di quanto non emerga nel materiale originale, dove possiede sfumature ben più dure e spigolose. In generale, il cast offre interpretazioni solide: Matt Smith ed Ewan Mitchell si distinguono per presenza scenica e intensità, ma è Tom Glynn-Carney a lasciare il segno, regalando alcune delle scene più incisive dell’intera stagione.
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